Negli Stati Uniti oggi è il grande giorno, quello in cui sapremo chi sarà il nuovo Presidente che per quattro o forse otto anni dovrà dimostrare di essere in grado di gestire l’enorme potere che deriva da un ruolo così importante e delicato e di prendere le decisioni giuste per quanto riguarda la politica estera, la sicurezza, la lotta al terrorismo internazionale, l’intricata situazione in Siria, i rapporti con la Russia, l’intelligence, e tanto altro. Il ruolo del Presidente degli Stati Uniti è fondamentale nel mondo moderno, in cui gli Stati Uniti sono rimasti l’unica potenza mondiale, e dalle decisioni prese a Washington dipendono le sorti di tante persone, non solo di nazionalità statunitense, ed è per questo che l’elezione di quest’anno è più che mai interessante da seguire.
Tra poche ore sapremo se nello Studio Ovale della Casa Bianca farà il suo ingresso trionfale Hillary Clinton oppure Donald Trump, ma nell’attesa di sapere quale sarà l’esito delle elezioni possiamo ipotizzare per grandi linee quali saranno gli scenari nuovi che si apriranno con la vittoria di uno o dell’altro candidato.
Se vincesse Trump molto probabilmente ci saranno leggi molto più restrittive per quanto riguarda l’immigrazione, in particolare per coloro che provengono da Paesi a maggioranza di religione islamica, e anche per i cittadini messicani sarà molto più difficile raggiungere gli Stati Uniti. Le nuove relazioni tra Stati Uniti e Cuba molto probabilmente saranno messe in discussione da Trump e sarà molto difficile che i cubani possano ottenere la fine dell’embargo che da tanto tempo sperano per rilanciare la loro stagnante economia.
Cambieranno anche i rapporti tra Stati Uniti e Russia, e questa volta in senso distensivo, perché Trump e Putin guà da un po’ hanno avviato una lunga serie di colloqui che, in caso di vittoria del candidato repubblicano, porterà ad un riavvicinamento dei due Paesi. Gli ultimi mesi hanno visto i rapporti tra Stati Uniti e Russia ai minimi termini, e già si pensava ad una nuova guerra fredda: un riavvicinamento porterà a nuove e più amichevoli relazioni che potrebbero influire positivamente sulla soluzione della guerra in Siria.
Trump intende allo stesso tempo diminuire l’impegno sia militare che economico degli Stati Uniti nella NATO e questo non piacerà ai Paesi dell’Europa dell’est che contano moltissimo sull’aiuto dell’Alleanza Atlantica per proteggersi da pericolo di una eventuale invasione russa. Carta straccia sarebbe l’accordo sul nucleare iraniano firmato qualche mese fa da Obama e dai rappresentanti dell’Unione Europea con il governo di Teheran: per il candidato repubblicano gli iraniani non sono affidabili perché non smetteranno mai di arricchire l’uranio e potrebbero costruire una bomba atomica.
Se vincesse Hillary Clinton saranno varate nuove leggi che permetteranno i ricongiungimenti famigliari degli immigrati e sarà prioritaria la lotta agli sfruttatori e a tutti coloro che impiegano stranieri in lavori umilianti e sottopagati, o li usano per la prostituzione o per altri affari illeciti.
La politica di Obama di miglioramento delle relazioni con i Paesi del Medio Oriente sarà mantenuta e continuerà il dialogo con l’Iran per lo smantellamento di alcuni dei reattori nucleari giudicati in grado di arricchire l’uranio, potenzialmente usato come esplosivo da introdurre in una bomba.
I colloqui per la pace tra palestinesi e israeliani cominciati da Obama non dovrebbero subire grandi variazioni se la ex First Lady ed ex Segretario di Stato dovesse essere eletta. Continuerebbe in questo caso anche la politica del disgelo con Cuba e si tornerebbe a parlare di possibile fine dell’embargo e di una maggiore libertà di spostamento per i cubani che intendono recarsi negli Stati Uniti.
In ambito NATO la partecipazione degli Stati Uniti alle esercitazioni in Europa orientale non cambierebbe, perché i militari statunitensi continuerebbero ad essere la forza trainante dell’Alleanza Atlantica. Questo fa piacere ai Paesi est europei che si sentono più protetti, ma non alla Russia che giudica le esercitazioni a ridosso dei suoi confini come inutili provocazioni.
Tutti e due i candidati sono concordi su un punto fondamentale: né in Siria, né in Afghanistan o in Iraq saranno mandate truppe di terra, non ci saranno in nessun caso i “boots on the ground”, perché nessuno dei due vuole sprecare preziose unità militari statunitensi di elite.
Valeria Fraquelli