La strategia internazionale per destabilizzare il gigante russo passa dalla diminuzione globale del prezzo del petrolio. Il calo del costo del greggio dipende in larga misura dalla decisione dei Paesi produttori di non frenare la produzione nonostante la domanda aggregata di petrolio si sia abbassata sui mercati mondiali. La conseguenza, causata dall’eccesso di offerta sulle richieste, è quella di far abbassare i prezzi. Una scelta, forse una casualità, che lascia i segni sulle economie emergenti che hanno puntato tutto sull’esportazione del greggio. Tra queste la Russia di Vladimir Putin. Che non ha gli anticorpi finanziari delle petromonarchie del Golfo, e neppure la forza di influire sul prezzo internazionale riducendo la propria produzione di barili.
Sarà pure una casualità, ma l’economia al mondo che sta soffrendo di più il calo del prezzo del petrolio è proprio la Russia. Il deprezzamento del greggio ha provocato quello del rublo mettendo in crisi interi settori dell’export russo. Le conseguenze dell’instabilità economica sotto i cieli di Russia stanno cominciando ad affacciarsi sui Paesi confinanti, soprattutto quelli più legati ideologicamente al Cremlino. Tra di loro c’è il blocco degli stati dell’Asia centrale come il Kirgizstan, Uzbekistan, Tajikistan e Turkmenistan.
Poco prima dell’influenza economica russa, Mosca si ritrovava coinvolta nella crisi ucraina. Il dibattito su chi abbia aperto uno scontro in Crimea è ancora aperto. Così come rimane aperto il duello tra Orso russo e Alleanza Atlantica sulla Crimea e sulla neonata e autoproclamata Repubblica di Donestk. Sullo sfondo della tensione russo-ucraina c’è inoltre il fantasma, sempre più visibile, dello scudo antimissile americano e l’allargamento della Nato a est. Ma a danneggiare la Russia sono soprattutto le sanzioni imposte da Europa e Stati Uniti. Un muro economico che sta piegando le aziende russe ma anche quelle occidentali che avevano trovato nel mercato ex-sovietico nuovi sbocchi economici.
Il cocktail di sanzioni economiche e deprezzamento del petrolio si sta rivelando micidiale per la Russia. Forse troppo per pensare a una semplice casualità. Mosca corre ai ripari cercando di creare un’Unione Economica Euroasiatica, un’area valutaria e doganale da contrapporre a Europa e Stati Uniti. In sostanza un’espressione macro-geografica per superare il blocco psicologico di quella sindrome da accerchiamento che ha sempre spaventato i padroni della Russia. Ora molto dipende dai russi. Non sappiamo se Vladimir Putin abbia rafforzato il proprio consenso oppure si sia indebolito. Nessuno sa immaginare, neppure le intelligence occidentali, cosa accadrebbe nel Paese se ci fosse un avvicendamento politico oppure, situazione più pericolosa, un guerra di potere che detronizzi Putin dalle stanze del Cremlino. Certo è che se dovesse avvenire in questo momento una transizione russa, la coincidenza del deprezzamento del petrolio e le sanzioni economiche sarebbe una prova troppo evidente per non vedere il nesso di causalità.
“…Il deprezzamento del greggio ha provocato quello del rublo mettendo in crisi interi settori dell’export russo….”
Finalmente ribaltato il concetto di svalutazione competitiva. Ora, per i soli russi, la moneta debole rende meno competitive le aziende nazionali. Una pietra miliare nella teoria economica.