La farsa di Istanbul: Putin chiama al dialogo e poi fugge

Il leader russo annuncia colloqui ma non si presenta. Zelensky lo accusa di insincerità, mentre l’ombra dell’espansionismo ricorda inquietanti precedenti storici.

Vladimir Putin non c’era a Istanbul. Al suo posto, ha inviato come capo delegazione il consigliere Vladimir Medinsky. Solo pochi giorni fa, il presidente russo aveva sfidato Volodymyr Zelensky proponendo la ripresa dei negoziati interrotti nel marzo 2022 proprio a Istanbul, indicando il 15 maggio come data. Zelensky, in visita ad Ankara, si era detto disponibile a recarsi a Istanbul, ma solo se ci fosse stato anche Putin.

Il presidente ucraino ha definito l’iniziativa una farsa. Una definizione che trova riscontro nei fatti: annunciare un negoziato e poi non presentarsi mina ogni residua credibilità diplomatica. La portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha replicato insultando Zelensky, definendolo “un clown”. Ma se c’è una parte che ha reso questa messinscena grottesca, è proprio chi ha proposto il colloquio e poi si è tirato indietro.

Al di là dell’ironia involontaria, l’assenza di Putin a Istanbul segna un passaggio importante: il Cremlino conferma, ancora una volta, di non avere alcun interesse per la pace. Se l’intenzione fosse davvero quella di avviare un dialogo serio, Mosca avrebbe inviato una delegazione di peso. Invece è arrivato Medinsky, figura marginale, senza incarichi politici rilevanti, se non quello di consigliere presidenziale.

L’Unione Europea, in questo, aveva letto correttamente la situazione. Da tempo si ritiene che Putin non voglia negoziati ma miri a un obiettivo ben più ampio: la conquista territoriale. La sua politica estera ricorda sinistramente quella di Adolf Hitler. Se il Führer cercava uno “spazio vitale” a est, Putin guarda a ovest. Hitler puntava all’annessione dei territori abitati da popolazioni tedesche. Putin usa la stessa logica con il Donbass, la Crimea e le zone occupate dell’Ucraina.

Nel 1938, la Conferenza di Monaco portò allo smembramento della Cecoslovacchia e all’annessione dei Sudeti. Oggi, Mosca mira allo smembramento dell’Ucraina, occupando e rivendicando ampie aree. E proprio come Hitler non si fermò dopo Monaco, Putin potrebbe non fermarsi all’Ucraina: la Moldavia, la Georgia e forse le repubbliche baltiche sono già nel mirino.

Donald Trump ha dichiarato che, se ci fosse stato Putin, si sarebbe recato anche lui a Istanbul. Un’affermazione che riporta al centro della scena gli Stati Uniti, che finora hanno mantenuto una posizione ambigua sul possibile ruolo di mediazione. L’ex presidente americano aspira a presentarsi come uomo della soluzione, ma le sue parole evocano più i fantasmi del passato che una reale strategia di pace.

Trump sembra voler incarnare il ruolo di Winston Churchill, ma rischia di comportarsi come Neville Chamberlain: il premier britannico che nel 1938, convinto di poter fermare Hitler con le concessioni, inaugurò la stagione dell’appeasement. Sappiamo bene come andò a finire.

La storia insegna, ma solo a chi è disposto ad ascoltarla. Toccherà a Trump – e al mondo – dimostrare di aver imparato la lezione.


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