Venezuela e Guyana si contendono la regione Essequibo. Il governo venezuelano ha indetto un referendum per l’annessione del territorio. Il 95% ha votato sì.
Venezuela e Guyana divise dalla giungla. I venezuelani hanno votato un referendum per misurare il sostegno popolare alle rivendicazioni storiche di Caracas su una zona di giungla amministrata dalla Guyana. L’area è ricca di petrolio.
La regione di 159.500 chilometri quadrati è conosciuta come Essequibo e costituisce due terzi del totale del territorio attualmente controllato dalla Guyana. Ospita 125.000 degli 800.000 cittadini della Guyana.
Il 95% dei votanti ha approvato di istituire un nuovo Stato venezuelano sul territorio dell’Essequibo.
La contesa sulla zona dura da più di un secolo.
Nel 1899, un tribunale arbitrale internazionale assegnò l’area alla Gran Bretagna, che all’epoca era la potenza coloniale che governava la Guyana, o Guyana britannica, come era allora conosciuta.
Ma questa sentenza è stata respinta come ingiusta dai successivi governi venezuelani negli ultimi 60 anni.
Nel 1966, la Gran Bretagna e il Venezuela raggiunsero un accordo – noto come Accordo di Ginevra (qui sotto il testo dell’accordo)– per istituire una commissione composta da rappresentanti della Guyana, diventata indipendente dalla Gran Bretagna quello stesso anno, e del Venezuela per rivedere la disputa territoriale.
Accordo di Ginevra 1966 tra Regno Unito e Venezuela-english
Ma anche se sono trascorsi quasi sessant’anni, non c’è ancora stata alcuna soluzione.
La disputa è scoppiata nel 2015, dopo che il colosso statunitense ExxonMobil ha scoperto il petrolio nelle acque offshore di Essequibo.
La Guyana lotta per sfruttare al meglio la ricchezza petrolifera.
Nel 2018, la Guyana ha portato il caso davanti alla Corte internazionale di giustizia (ICJ), dopo aver ottenuto il via libera dal Segretario generale delle Nazioni Unite.
L’ICJ, con sede a L’Aia, nei Paesi Bassi, è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, e uno dei suoi ruoli principali è la risoluzione delle controversie legali tra stati.
Possono volerci anni prima che l’ICJ emetta sentenze e il primo passo nella maggior parte dei casi è decidere se ha giurisdizione, cioè se ha l’autorità legale per pronunciarsi su una particolare controversia.
Nel 2020, l’ICJ ha stabilito di avere giurisdizione sulla controversia, ma deve ancora decidere nel merito del caso, vale a dire se il lodo arbitrale del 1899 che assegna l’Essequibo alla Guyana è valido.
Il Venezuela non ha accettato la giurisdizione dell’ICJ, ma finora ha continuato a presenziare alle udienze della corte.
La tensione è aumentata ulteriormente quando il governo della Guyana ha organizzato un’asta nel settembre di quest’anno in cui le compagnie petrolifere hanno presentato offerte per licenze di esplorazione nelle acque di Essequibo.
Questa mossa e un’ulteriore scoperta “significativa” di petrolio avvenuta in quelle acque poco più di un mese fa hanno aumentato la pressione sul governo venezuelano.
Anche il governo venezuelano, guidato dal presidente Nicolás Maduro dal 2013, è sotto pressione internazionale affinché consenta elezioni libere ed eque nel 2024.
Gli Stati Uniti hanno recentemente allentato le sanzioni imposte all’industria petrolifera venezuelana in cambio della revoca del divieto da parte del governo nei confronti della principale candidata dell’opposizione, María Corina Machado.
Molti analisti vedono il referendum di Essequibo come una risposta tattica del presidente Maduro per suscitare il fervore nazionalista e distrarre dalle richieste di elezioni libere ed eque.
Anche se il referendum è solo di natura consultiva – cioè non ha alcun valore legale al di fuori del Venezuela – la Guyana lo ha condannato come un tentativo aggressivo di “annessione”.