La regione del Kashmir contesa da India e Pakistan riporta ai massimi storici la tensione tra i due giganti asiatici.
Un attentato avvenuto nel territorio indiano di Jammu e Kashmir, in cui sono morte 26 persone, ha riportato ai massimi storici la tensione tra India e Pakistan sulla regione del Kashmir.
A seguito dell’attentato il governo di Nuova Delhi ha comunicato che ci sarà una serie di importanti misure di ritorsione contro Islamabad. Il comunicato indiano è arrivato al termine di una riunione del Comitato di governo sulla sicurezza (Ccs), presieduta dal primo ministro Narendra Modi.
Tra le decisioni adottate figura la sospensione immediata del Trattato delle acque dell’Indo del 1960, fino a quando Islamabad non rinuncerà in modo al sostegno al terrorismo transfrontaliero. È stata inoltre annunciata la chiusura immediata del posto di frontiera integrato di Attari, con una finestra fino al primo maggio per il solo rientro dei cittadini già transitati con documenti validi.
L’India richiama i propri addetti militari dall’Alta commissione a Islamabad, lasciando vacanti tali posizioni. Si tratta delle misure più dure varate dall’India nei confronti del Pakistan negli ultimi anni, a testimonianza di come le autorità di Nuova Delhi non abbiano dubbi sul coinvolgimento d’Islamabad nell’attacco a Pahalgam, che ha provocato 26 morti e 17 feriti.
L’attacco è stato rivendicato dal Fronte della resistenza (Trf), ritenuto dall’India una sigla ombra del gruppo pachistano Lashkar-e-Taiba (LeT). Fondato nel 2019, il Fronte della resistenza ha già compiuto attacchi mirati contro minoranze religiose, dipendenti pubblici, politici locali, turisti e forze di sicurezza indiane. L’attacco è stato condotto da uomini armati non identificati che sono scesi dalle montagne attorno alle 15:00 del 22 aprile e hanno aperto il fuoco contro un gruppo di turisti nella valle, conosciuta come “la piccola Svizzera” per i suoi pascoli verdi e paesaggi montani. Tra le vittime, in gran parte turisti e tutti uomini, figurano due stranieri (provenienti dal Nepal e dagli Emirati Arabi Uniti) e un ufficiale della Marina identificato come Vinat Narwal, 26 anni, ucciso mentre era in ferie.
La tensione tra i due Paesi è altissima, soprattutto perché è il secondo scontro nella regione. Il 12 aprile scorso, almeno tre presunti ribelli e un soldato indiano sono rimasti uccisi in scontri a fuoco nel Kashmir amministrato dall’India, a meno di una settimana dalla visita del Ministro degli Interni Amit Shah nel territorio conteso. L’esercito indiano ha dichiarato che i suoi soldati hanno ucciso tre combattenti in uno scontro a fuoco in una foresta remota a Kishtwar, nel Kashmir meridionale. Un soldato indiano è stato ucciso nel distretto di Sunderbani, lungo la Linea di Controllo (LoC), il confine di fatto che taglia in due il Kashmir amministrato dall’India.
Il Kashmir, a maggioranza musulmana, è diviso tra India e Pakistan, rivali dotati di armi nucleari, fin dalla loro indipendenza nel 1947, con entrambi che rivendicano l’intero territorio ma ne governano solo una parte.
Come capire la contesa tra India e Paksitan sul Kashmir
Si stima che l’India abbia schierato nel territorio circa 500.000 soldati dopo una rivolta armata contro il dominio indiano alla fine degli anni ’80. Migliaia di persone, la maggior parte civili del Kashmir, sono state uccise mentre gruppi ribelli combattevano contro le forze indiane, chiedendo l’indipendenza del Kashmir o la sua fusione con il Pakistan.
Nel 2019, un rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha accusato l’India di violazioni dei diritti umani in Kashmir e ha chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulle accuse. Il rapporto è stato pubblicato quasi un anno dopo che l’allora capo delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, aveva chiesto un’indagine internazionale sugli abusi nella regione a maggioranza musulmana.
Il territorio vive una tensione continua dal 2019, quando il Primo Ministro Narendra Modi ha posto fine alla semi-autonomia della regione e ha drasticamente limitato il dissenso, le libertà civili e la libertà dei media, intensificando al contempo le operazioni militari.