La transizione del sistema internazionale da una concezione medievale a una moderna. Da universalità a equilibrio di potenza europeo.
Il sistema internazionale, inteso come assetto delle relazioni e dell’equilibrio tra gli Stati, vede il suo passaggio centrale nel 17° secolo. E’ in questo momento che l’ordine mondiale passa da una concezione di universalità a quella di equilibrio di potenza. Il terreno in cui si consuma questa transizione è l’Europa.
Partiamo dalla fine: dal concetto di sistema di equilibrio di potenza europeo. Emerge nel 17° secolo a seguito del collasso dell’aspirazione medievale all’universalità. Quest’ultima va intesa come una miscela tra le tradizioni dell’Impero Romano e quelle della Chiesa Cattolica. Come vedevano il mondo nel Medioevo? Era concepito come lo specchio del cielo. Di conseguenza come in cielo c’era un Dio che dominava l’universo, così sulla terra doveva esserci un imperatore che aveva potere di comando sulle questioni terrene e un Papa che dominava sulle questioni spirituali.
Fino al 17° secolo prevalse questa concezione del sistema internazionale. Il Sacro Romano Impero, che si estendeva su gran parte dell’Europa, non aveva il controllo su tutti i territori sotto la sua sovranità. Come tutti i grandi imperi della storia, il potere centrale non riusciva a governare sulle periferie dell’impero. Così fu anche per la Roma dei cesari. Antonio Gramsci avrebbe definito questa situazione come quella di una potenza senza egemonia.
Per tutto il periodo medievale, il Sacro Romano Impero non riuscì mai a ottenere il pieno controllo (oggi diremmo governance) di tutti i suoi territori. Le ragioni furono essenzialmente due: la mancanza di trasporti e l’assenza di comunicazioni adeguate.
Ci fu però una terza ragione da non sottovalutare: lo scontro tra chiesa e governo, o meglio tra papa e imperatore. Laddove la religione rimase soggetta al governo centrale, come nelle regioni orientali dell’impero, il potere centrale mantenne un certo livello di controllo. Al contrario, invece, dove lo scontro tra Chiesa e Impero si fece più forte, si crearono le condizioni di un futuro costituzionalismo e di una separazione dei poteri che stanno alla base di una democrazia moderna. Ciò accadde nelle regioni occidentali. In queste zone, i diversi signori feudali aumentarono la loro autonomia sfruttando a proprio vantaggio il conflitto tra papa e imperatore. Così, pian piano l’autorità centrale andò scomparendo.
Il periodo di maggiore splendore per il Sacro Romano Impero fu sotto Carlo V. L’estensione era immensa: dalla Francia orientale alla attuale Germania, dall’Italia settentrionale all’Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, Austria, Belgio e Olanda. Il suo declino cominciò con l’indebolimento papale a causa della riforma protestante. Proprio quest’ultima impedì l’egemonia in Europa dell’impero di Carlo V. Infatti, molti signori locali o proprietari terrieri, con lo sviluppo della Riforma, cominciarono considerare sempre meno l’imperatore centrale come un agente di Dio. E iniziarono a mettere in discussione la sua figura, proprio come la Riforma aveva fatto con quella del Papa.
Però questi potentati emergenti, che dominavano alcune zone dell’impero, avevano bisogno di alcuni principi forti per sostenere la loro “eresia” (per usare la terminologia dell’epoca) e regolare i rapporti tra di loro. Inventarono così i concetti di “ragion di stato” e di “equilibrio di potenza”. La ragione di stato asseriva che il benessere di un Paese giustificava qualunque mezzo impiegato per favorirlo. L’equilibrio di potenza si fondava sul presupposto che lo Stato, nel perseguire il proprio interesse, contribuisce in qualche modo al progresso di tutti gli altri.
In questa crisi generalizzata del Sacro Romano Impero, lo Stato che più di tutti tentò di accelerarne la caduta fu la Francia. Fu questo il motivo per cui Parigi si avvicinò in maniera forte ai concetti di ragion di stato e equilibrio di potenza. I francesi, cattolici, compresero i rischi di una rinascita del Sacro Romano Impero perché in quel momento la forza dei sovrani protestanti poteva avere il comando dell’impero. Più si indeboliva il Sacro Romano Impero, ragionarono a Parigi, più aumentava la sicurezza francese. Fu con questi obiettivi che la Francia cominciò a utilizzare le rivalità che la riforma aveva creato tra i suoi vicini.
La figura centrale di questa politica francese fu quella del Cardinale Richelieu. Padre del moderno sistema degli Stati, teorizzò il concetto di Raison d’Etat. Richelieu sostituì la ragion di stato alla concezione medievale di valori morali e universali ancora molto radicata nella politica francese. Dopo di lui, il concetto di equilibrio di potenza emerse come sistema per l’organizzazione delle relazioni internazionali. Richelieu sperimentò la balance of power nella lotta agli Asburgo e nel tentativo di stabilire un primato della Francia in Europa.
La politica di Richelieu emerse nel 1618, allo scoppio della guerra dei trent’anni. I territori di lingua tedesca dell’Europa centrale costituivano la maggior parte del Sacro Romano Impero. Queste zone erano divise in due campi: quello protestante e quello cattolico. Lo scontro portò i territori tedeschi allo stremo. E gli eserciti stranieri, Danimarca, Svezia e Francia, ne approfittarono per disgregare il Sacro Romano Impero.
Fu in questo contesto che Richelieu introdusse il concetto di ragion di stato nella politica estera francese. Gli altri Stati lo adotteranno nel secolo successivo. Come ministro di culto, Richelieu fu obbligato a accogliere il tentativo dell’imperatore Ferdinando II di Asburgo di riportare il concetto di universalità cattolica in Europa. Il Cardinale francese però antepose l’interesse nazionale della Francia agli obiettivi religiosi. Richelieu vide nel tentativo asburgico di ristabilire la religione cattolica una minaccia geopolitica per la Francia. Quella dell’Austria fu per Richelieu una manovra politica per raggiungere il dominio nell’Europa centrale e per ridurre il peso della Francia. I timori di Richelieu non erano infondati. La Francia aveva ai suoi confini territori appartenenti ai due rami della famiglia asburgica.
Per prevenire questi rischi, portò la Francia a allearsi con i principi protestanti sfruttando anche lo scisma nella chiesa cattolica. Stabiliva insomma un equilibrio di potenza controbilanciando quella asburgica con l’alleanza con gli Stati tedeschi. Ma applicava anche il principio della ragion di stato perché impiegava qualunque mezzo pur di tutelare l’interesse del Paese. Il mezzo era l’avvicinamento della cattolica Francia guidata da un Cardinale agli Stati protestanti. Inoltre, aumentava la sicurezza dello Stato francese.
Richelieu mantenne in vita la guerra finché non si prosciugò la forza degli Asburgo. L’accordo con i protestanti venne firmato a Alais nel 1629. Con questo si concedeva la libertà di culto ai protestanti che vivevano in Francia in cambio dell’alleanza dei francesi con i sovrani di lingua tedesca. Il vero capolavoro diplomatico fu l’accordo con il re di Svezia Gustavo Adolfo. Il re di Francia Luigi XIII e Richelieu decisero di finanziare il regno svedese. Ciò ebbe all’epoca un effetto rivoluzionario simile a quello della Rivoluzione Francese del 1789. Obiettivo era evitare l’accerchiamento della Francia e prevenire la nascita di un grande Stato vicino ai confini francesi. Oltre a isolare gli Asburgo.
Richelieu strinse alleanza anche con i musulmani dell’impero ottomano. Per prolungare la guerra non esitò a sostenere i nemici dei suoi nemici, a ricorrere alla corruzione e a fomentare insurrezioni. Fu un uomo di realpolitik.